La maggior parte delle persone descrive la crisi d’ansia o l’attacco di panico come la perdita improvvisa del controllo su ciò che viene considerato scontato e abituale.
Il respiro viene a mancare, le gambe tremano, si avverte un senso di disorientamento e l’ambiente diventa pericoloso, minaccioso e ostile.
Questo insieme di sensazioni inaspettate e apparentemente inspiegabili gettano l’individuo nel terrore panico.
L’esperienza che la persona sta vivendo è nuova, anche se può non sembrarlo, e le risorse necessarie per affrontarla sembrano in quel momento scomparse o inaccessibili.
Ciò che sente è solo paura senza spiegazione.
Quello che succede è che la persona avverte in modo improvviso e inconsapevole l’impossibilità di fidarsi di sè e di ciò che lo circonda.
Come mai accade questo?
Una delle ipotesi più accreditata è che alla base della crisi d’ansia e dell’attacco di panico ci sia un’esperienza traumatica che però non ha trovato, nel suo tempo, il modo per essere vissuta.
E’ stata sepolta, negata per difesa dalla persona che l’ha vissuta e viene riattivata dalla situazione presente.
Il panico quindi, per quanto doloroso e spiacevole, da un senso e permette anche all’indicibile di essere espresso.
Attraverso il lavoro di traduzione di senso dell’attacco di panico e della crisi d’ansia anche l’esperienza traumatica può essere infine narrata e quindi trasformata in ricordo, in memoria dolorosa che però può essere respirata e infine metabolizzata.